Nascere a Bergamo ai tempi del covid: la storia di Chiara, mamma di Camilla

Mentre scrivo una testolina dai capelli neri, appoggiata sul mio cuore, mi osserva con due occhioni grandi. Le è bastato poco per capire che la sua mamma le emozioni le fissa così, “sulla carta”, per non farle scappare mai. Camilla è nata il 31 marzo 2020 all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nel bel mezzo di una pandemia che 9 mesi fa, di fronte al cielo azzurro e al mare caldo dell’Abruzzo, non ci saremmo mai immaginati. Eppure, di fronte a questa gravidanza dal finale imprevedibile, l’unica parola che mi sento di scrivere è grazie.

Grazie Camilla per averci scelto come famiglia quella domenica di inizio agosto, quando tra una risata nervosa e una speranza lontana sei venuta ad abitare per davvero nei nostri cuori e nella mia pancia; grazie per avermi accompagnata da quel giorno e fino alle lunghe notti in ospedale, con la mascherina fissa tra naso e bocca che ogni tanto abbassavo per respirare a fondo il tuo profumo: sono stati giorni intensi e a tratti pesanti, ma sono stati gli ultimi “tutti nostri”, che ho diviso da sola con te.

Grazie a mio marito per le emozioni fortissime provate di ritorno dalla sala operatoria: io in lacrime, lui con gli occhi che brillavano per aver stretto tra le braccia un fagottino di poco più di 3 kg per quei primissimi minuti di vita. “Cosa c’è Chiary? È tutto finito, sta bene e ha finito adesso di piangere” mi hai detto, tu che da più di un mese terminavi i nostri messaggi scrivendo “31 marzo”, la data del taglio cesareo programmato. Così per la seconda volta mi hai aspettata fuori dall’oblò senza poter assistere al travaglio e stavolta ci hai potuto coccolare solo due orette prima di salutarci, giusto il tempo per ricominciare a muovere lentamente gli alluci. A casa c’era una sorella maggiore da accudire e ovunque un virus che ci impediva di stare abbracciati durante i giorni di degenza. Grazie perché in quelle due ore abbiamo concentrato tutto l’amore dell’universo, quello che avrebbe fatto compagnia a tutti e quattro in quei giorni divisi.

Grazie all’ostetrica dallo sguardo gentile e comprensivo che ha asciugato le mie lacrime durante l’intervento. Credo si chiamasse Sara. Più volte mi ha accarezzato la testa invitandomi a non mollare, guardandomi negli occhi e facendomi sentire a casa e al sicuro, nonostante le mascherine, gli occhiali, le cuffie, i camici, i pensieri… In reparto avrei trovato la stessa meravigliosa empatia da parte di molti, il senso di cura e di dedizione che fanno di un mestiere una vocazione e di una permanenza fuori dalle righe un’esperienza comunque da ricordare.

Grazie a ogni singola persona che è entrata in quella stanza numero 1116 al primo piano: chi per una puntura, chi col vassoio del pranzo, chi per medicare, chi per pulire, chi per confortare, anche a notte fonda, sempre coperti dalla mascherina che nasconde i sorrisi, ma gli sguardi no. Ho trovato davvero tanta umanità in quei giorni, paura anche (la mia), spazzata via dal primo pianto di mia figlia.

Grazie ad Anita, la mia prima bimba coraggiosa, che a nemmeno 4 anni è diventata una sorella maggiore premurosa, attenta e comprensiva. La mattina del ricovero, il 30 marzo, eri felicissima di accompagnare la mamma in ospedale perché saresti tornata a fare un giro con l’auto di papà: ti sei preparata velocissima, hai rimesso le scarpe dopo settimane, preso il tuo peluches e mi hai detto di non essere triste che tu col papà e con gli zii avevi un sacco di cose da fare. Quanto ho imparato in quei 10 minuti di strada e quel saluto dal finestrino, quanto sto imparando in questi primi giorni a casa… Tempo prezioso per crescere che non avrei avuto modo di vivere senza questa emergenza.

Grazie a chi a casa non ha smesso un attimo di accompagnarci: nonni, zii, amici che hanno seguito i nostri progressi come “famiglia di quattro” attraverso un video. Dio solo sa quanto vorrebbero stringerci, rifilarci una lasagna pronta, alleggerirci le braccia, la testa e il cuore… Lo stanno facendo in maniera alternativa ma allo stesso modo efficace, nell’attesa di abbracciarci al più presto, ché la tecnologia è una manna dal cielo ma il calore umano lo è ancora di più.

Ogni volta che in queste settimane ho avuto un momento di sconforto ho pensato a quello che questa situazione ci avrebbe donato, anziché a quello che ci avrebbe tolto. Il segreto sta nel guardare l’arcobaleno che nasce anziché il nero che copre, anche se per molte famiglie afflitte dal dolore uscire da questo buio sembra impossibile. Ho pensato e continuo a pensare alla fortuna di avere il papà a casa, tra smart working e cassa integrazione: in condizioni “normali” si sarebbe probabilmente perso il primo sorriso, il primo bagnetto, i cambi pannolino in notturna, le coccole nel lettone fino a tardi… Lo stesso vale per Anita: senza scuola materna ha tutto il tempo per stare con noi e adattarsi alla nuova vita a quattro, scegliendo di tornare a dormire in cameretta quando se la sentirà. E poi ci sono io, che tanto aspettavo questa maternità per staccare dal lavoro e da tutto e per rilassarmi e invece il mio mesetto scarso a casa l’ho passato col pancione a giocare sul tappeto dalle 7 alle 23 e le mie prime settimane da mamma-bis somigliano più ad un tornado che a un mare calmo… Ma è faticosamente bellissimo così. Quando sarà tutto passato, molti di noi saranno cambiati in meglio. E con noi, in meglio, cambierà anche il mondo, a partire dai piccoli arcobaleni nati in queste settimane incredibili.

Mamma-bis Chiara